Ero adolescente e Stefano, se non ricordo male, fece un piccolo sondaggio tra i compagni di scuola per sapere quale fosse la più bella canzone d’amore mai scritta. Prima di me toccò al buon Mauro che disse: «“In Ginocchio da te” di Gianni Morandi.» Poi venne il mio turno e, senza pensarci due volte, risposi: «”You’re a big girl now” di Bob Dylan.» È con questo flashback che mi sono svegliato questa mattina e, sinceramente, non saprei spiegarmi il motivo di questo pensiero mattutino; o forse c’è, in ogni caso non è mia intenzione stare a rovistare nel passato. Resta il fatto però che Blood on The Tracks è uno dei miei dischi preferiti del menestrello di Duluth e non solo per quella abbagliante poesia che prende il titolo di You’re a Big Girl Now, ma per ogni singolo brano di questo lavoro da cui stillano gocce di sangue e di passione. Un disco, il quindicesimo per l’esattezza, che vide la luce in uno dei maggiori momenti di difficoltà, sofferenza e riflessione di Dylan in rotta di collisione con la moglie Sara Lownds, che già in passato aveva ispirato l’artista americano, e da cui nascono brani del calibro di Tangled Up In Blue e Idiot Wind che mescolano dolore, ardore e dolcezza. Un album folk rock ben arrangiato e dai suoni levigati che pur perdendo, almeno in parte, l’istintività di capolavori come The Freewheelin’ Bob Dylan (1963), Highway 61 Revisited (1965) e Blonde on Blonde (1966) – solo per citarne alcuni dei trentacinque dischi realizzati finora in cinquant’anni di carriera – non perde un grammo di profondità e trasporto. E nonostante siano passati molti anni da quel sondaggio fatto a scuola, quella canzone resta sempre una delle più belle dichiarazioni d’amore mai scritte. Con la speranza, ovviamente, che il mio amico Mauro nel frattempo abbia cambiato idea. Io, intanto, ascolterò nuovamente Blood on The Tracks cercando di capire il motivo di questa singolare reminiscenza. E allora via con la prima traccia: “Early one mornin’ the sun was shinin’ / I was layin’ in bed…” (Luca D’Ambrosio)