È la prima volta a Roma di Damien Jurado, cantautore indie folk di Seattle (Washington) che arriva al Lanificio 159 per presentare il suo undicesimo album intitolato Brothers and Sisters of the Eternal Son: disco acclamato dal pubblico e dalla critica – e anche da chi scrive – come una delle migliori uscite discografiche dell’anno nonché della sua carriera. Però, a vederlo appoggiato al muro dietro il banchetto del suo merchandising, mentre ascolta intento la giovane Courtney Marie Andrews che apre il suo show, dà quasi l’impressione di essere un personaggio abbastanza schivo e distaccato, e persino diffidente nel momento in cui ci avviciniamo a scambiare due chiacchiere e ad acquistare un vinile. Ma le nostre sono soltanto supposizioni che vengono smentite quando Jurado, munito soltanto di voce e chitarra, dopo qualche “vecchia” canzone estratta dal suo lungo repertorio (in fondo stiamo parlando di un musicista che è in giro dalla metà degli anni novanta), riesce a incantare e coinvolgere giovani e meno giovani prima con Metallic Cloud e subito dopo con Silver Timothy, brano che preferisce ripetere, chiedendo alle persone presenti in sala di avvicinarsi a lui, perché solo così, dice, gli viene meglio. È come se si sentisse a casa, prosegue, e per questo motivo prima di eseguirlo nuovamente si toglie addirittura le scarpe. Da quell’istante in poi sembra di vedere un altro Damien Jurado: scherzoso, simpatico, loquace e naturalmente profondo. Buona parte degli spettatori lo accerchiano accovacciati sul palco o nelle immediate vicinanze, noi compresi. Tutti, però, anche quelli più distanti, partecipano all’esibizione cantando, applaudendo e portando il ritmo con le mani. E lui, tra il serio e il faceto, non perde occasione per interagire con il pubblico. È una bella serata, insomma, con il nostro songwriter che canta canzoni di una bellezza non comune dove fragilità, quiete e disperazione sembrano cementarsi in unico afflato. Brani che ci fanno pensare a Nick Drake, Neil Young, Bob Dylan ed Elliott Smith, tuttavia capaci di rivelare un’emotività autentica che si nutre della vita degli altri e di tutto ciò che lo circonda. E noi questa sera ne siamo stati consapevoli per un’ora e mezza circa di concerto che è filato via con piacere ed entusiasmo, con il folk singer americano in splendida forma che, in una dimensione intima e familiare, ha carpito ogni sguardo e ogni minimo sussurro. Un uomo di indiscutibile talento che questa sera, scalzo e bevendo Fanta, non solo è riuscito a rapirci il cuore ma anche a regalarci un sorriso. Lo ha fatto dando risalto, com’è giusto che sia, al suo ultimo gioiellino discografico, non prima però di averci fatto dono a metà esibizione di Everything Trying, traccia presente nella colonna sonora del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino. Quando la musica e certe canzoni riescono a sorprendenti anche dal vivo. Grazie, Damien. (L.D. / Redazione Musicletter.it / Roma, 27 febbraio 2014)