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Luca D'Ambrosio musica

The National a Roma (01.07.2013)

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I National oramai sono una certezza. Un crescendo di personalità e talento che va confermandosi album dopo album, a partire dall’omonimo esordio del 2001 fino all’ultimo acclamato Trouble Will Find Me (2013), disco che è riuscito a mettere d’accordo un po’ tutti, persino quella parte di pubblico e di critica specializzata che fino a qualche tempo fa nutriva ancora qualche dubbio nei confronti della formazione americana. Del resto, con quest’ultima fatica, Matt Berninger e soci sembrano quasi essersi sdoganati dal quel concetto strettamente “indie rock” a cui molti gruppi oggigiorno sembrano essere legati. Sarà forse perché i National, pur suonando in maniera originale, alternativa e del tutto attuale, riescono a racchiudere quel misto di fervore e dannazione che ricorda tanto Johnny Cash quanto Ian Curtis: due personaggi oscuri ed enigmatici che sembrano guidare Berninger in questo percorso musicale che unisce, in maniera decisamente trasversale, l’America con l’Inghilterra, il folk con la new wave. E la conferma di questa nostra sensazione la si ha immediatamente in questa fresca serata di fine giugno presso un’affollata Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, dove la band statunitense si esibisce al gran completo e persino con una sezione fiati. La gente è impaziente e non vede l’ora di ascoltarli dal vivo. Ad attenderli ci sono anche quelli come noi che così giovani, almeno esteriormente, non lo sono più. In ogni caso, l’attesa è breve: si parte subito con Squalor Victoria ed è subito ovazione. Seguono I Should Live In Salt, Don’t Swallow The Cap fino ad arrivare a Sea Of Love, momento in cui Berninger si avvicina al sottopalco richiamando l’attenzione dei sostenitori più infervorati e facendo saltare l’ordine delle prime file. Non c’è dubbio: è delirio. Ecco quindi che l’esibizione prende anima e calore mentre sullo sfondo del palco vengono trasmesse delle splendide “video installazioni”. È la volta poi di I Need My Girl e Sorrow che sono così belle da straziarti il cuore, a differenza di Abel e Graceless che riescono, invece, a infiammare gli animi dei presenti, con il frontman dei National che di lì a poco scenderà a cantare giù in platea con non poche difficoltà per i tecnici. È uno spettacolo entusiasmante, con i due chitarristi, Bryce e Aaron Dessner, quest’ultimo alle prese anche con le tastiere, che incitano e coinvolgono i partecipanti, mentre Scott e Bryan Devendorf, rispettivamente basso e batteria, non perdono un solo colpo. Fake Empire, infine, chiude la prima parte dell’esibizione, ma saranno Heavenfaced, Humiliation, Mr. November, Terrible Love e una versione acustica di Vanderlyle Crybaby Geeks, cantata all’unisono con il pubblico, a spegnere le luci di questa indimenticabile domenica d’estate. Due ore di musica rock. E scusateci se questa volta abbiamo deciso di togliere di mezzo l’aggettivo “indie”.



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