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Low – Trust (2002)

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Un sibilo misterioso seguito da un tonfo di tamburo, così si apre il sesto lavoro in studio della formazione di Duluth (Minnesota). Sette minuti circa di andature scheletriche e chitarre dilatate accompagnate da un canto flebile e ossequioso. Consumata (That’s How You Sing) Amazing Grace qualcosa però sembra cambiare: le corde si inaspriscono, la ritmica diventa regolare e la melodia sembra fare l’occhiolino al pop. Ma Canada è soltanto un’illusione. Con Candy Girl infatti si torna nelle caligini notturne in cui risuonano nenie e colpi di grancassa quasi per addolcire una morte lenta. Si procede a rilento, con affanno e agitazione, ma non si vedono altro che lande desolate e paesaggi senza luce da cui si odono soltanto rumori cosmici e tristi invocazioni corali. Poi, finalmente, arriva il canto libero e fatato di Tonight, l’unico brano in grado di concederci un po’ di quiete che, tuttavia, non basta a cambiare il nostro stato d’animo. Ecco quindi che una volta giunti alla fine del disco si avverte un profondo senso di smarrimento, destabilizzante ma allo stesso tempo liberatorio. Ci si sente attoniti e sbigottiti, ma anche così incredibilmente purificati. Forse perché Trust è “rock al rallentatore” che scorre lungo i bordi di una psichedelia (oscura e maniacale) capace di infondere, attraverso le sue ballate disperate, una piacevole sensazione di purificazione. (Luca D’Ambrosio)

Recensione pubblicata su ML – Update n. 30 del 23 marzo 2006



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