Neve (Ridens) è un album estremamente toccante attraverso il quale Marco Parente incita il risveglio delle coscienze. Lo si intuisce immediatamente con Wake Up, un brano che lascia trasparire intense melodie pianistiche, testi allusivi (“Sveglia! Ti stanno rubando la macchina… Ti stanno rubando il sorriso”) e un modo di cantare apparentemente indolente che trova l’espressione più alta in Amore o Governo, una ballata permeata da pigrizie ritmiche, da ammiccamenti pressoché latin/swing e da improvvise storture melodiche. Un misto di decomposizioni sonore, di acredini rock e di cantautorato italiano che raggiunge la giusta proporzione con Il Posto delle Fragole (che sembra mettere insieme Giancarlo Onorato con i Marlene Kuntz) e con Lampi Sul Petto e Io Aeroporto, composizioni taglienti e dalle architetture quasi “maldestre” che stillano altresì modernità acustiche e inezie pop. Ma sono quei sottili tremolii vocali di Un Tempio ciò che più ci colpisce di Marco Parente, che poi non sono altro che i sussulti del cuore che liberano i pensieri dentro un vortice di tintinnii, di tasti, di speranze e di ineffabili anarchie. Assenze di equilibri che ricordano qualcosa di Robert Wyatt come le sfumature metriche di Colpo di Specchio e gli arrangiamenti di Trilogia del Sorriso Animale: III Sorriso che serrano, splendidamente, questa quarta fatica in studio del cantautore napoletano. Un condensato di musica e poesia che rifugge dalle regole e da qualsiasi interpretazione superficiale. (Luca D’Ambrosio)
Recensione pubblicata su ML – Update n. 19 del 10 ottobre 2005