Da bambino, diciamo sul finire degli anni Settanta, c’erano diversi 45 giri dei miei genitori che mi piaceva ascoltare con il loro mangiadischi verde.
Erano quasi tutti dischi degli anni Sessanta che d’estate, con l’arrivo delle vacanze, amavo ascoltare sul lungo balcone del nostro appartamento al quinto piano.
Ricordo che una delle mie canzoni preferite era I can’t explain it dei McCoys, lato B di un singolo che oggi ho tirato fuori dallo scaffale, giusto per tornare a vedere quei rondoni così agili e veloci che, sotto un cielo completamente azzurro, sfioravano la mia piccola testa e i cornicioni dei grandi palazzi.
Una sensazione che, purtroppo, non riesco a spiegare. Meglio ascoltare il brano.
Negli anni Novanta Disfunzioni Musicali a Roma era, in assoluto, il mio negozio di dischi preferito.
Ricordo che per arrivarci facevo più di due ore di autobus, affrontando, sia all’andata che al ritorno, le leggendarie e nauseanti curve di Scannacapre.
Generalmente partivo al mattino presto e tornavo verso sera con uno, massimo due dischi in vinile, dipende dai soldi che ero riuscito a mettermi da parte tra lavoretti come cameriere e piccole elargizioni familiari.
Ogni occasione era buona per passare da Disfunzioni. Visite mediche, lezioni all’Università, che poi ho subito abbandonato, colloqui di lavoro, capatine a casa di amici e parenti e scuse varie. L’importante era essere lì, in via degli Etruschi, spesso anche soltanto per curiosare o chiedere informazioni.
Disfunzioni, insomma, era il mio luogo ideale. Il posto perfetto dove vivere e, volendo, anche morire. E questo nonostante i commessi non fossero certamente le persone più simpatiche di questo mondo. Quasi sempre vestiti da rockstar, lapidari nelle risposte e incuranti delle tue lunghe attese dietro la serranda abbassata, i commessi di Disfunzioni Musicali ti guardavano sempre dall’alto in basso, con quel sottile piglio di legittima superiorità, anche perché sapevano benissimo che stavi entrando nel regno del disco. Il paradiso della musica. Persone con le quali non avevo il benché minimo di confidenza e che, forse proprio per quel motivo, erano diventati per me le prime icone di quel piccolo mondo immaginario fatto di “sesso, droga e rock and roll”, ma anche di infinita passione.
Un mondo che, purtroppo, non c’è più e che oggi ricordo con incredibile affetto grazie a questo video.
I R.E.M. sono stati un punto di riferimento della mia adolescenza oltre che della mia educazione musicale e culturale. Li ho sempre amati, anche quando mi sono sentito stupidamente tradito per via della loro improvvisa popolarità.
Erano infatti gli anni di Out of Time e il successo di quel disco, nonostante la sua indiscussa bellezza, mi provocò uno sciocco quanto infantile risentimento. Oramai Berry, Buck, Mills e Stipe non erano più una “cosa privata”.
E fu così che decisi di ignorarli per qualche anno, per poi rimanerne nuovamente folgorato grazie a meraviglie come Automatic for the People, New Adventures in Hi-Fi e persino Up, il primo album senza il batterista Bill Berry.
Da allora non li ho più persi di vista e il loro scioglimento nel 2011 fu per me un vero e proprio colpo al cuore. Uno di quei colpi che ancora oggi accuso quando mi capita di ascoltare qualsiasi capolavoro della band di Athens, soprattutto ora che l’adolescenza è soltanto un lontano ricordo.
Prendendo come spunto il mio libro del 2019, Musica migrante. Dall’Africa all’Italia passando per il Mediterraneo, l’incontro sarà incentrato sul focus #BlackLivesMatter.
Mercoledì scorso sono stato ospite dell’Istituto Italiano di Cultura di New York.
Con il direttore dell’Istituto, il professor Fabio Finotti, si è parlato del mio libro, MUSICA MIGRANTE, e delle attività di Time For Africa, associazione culturale coordinata da Umberto Marin. L’incontro in streaming (Sora-Udine-New York) è stato allietato dalle esibizioni musicali di Kora Hero, Thiam Meissa, Eugene Magina e Chik Senda.
Tra qualche settimana sarà disponibile il video dell’intero collegamento. Come si dice a Napoli, stay tuned!
Oggi Milano Finanza scrive: “Come nelle guerre del passato la risorsa di cui nessun esercito poteva fare a meno era l’acciaio, nel nuovo conflitto del 21° secolo tra l’umanità e il Coronavirus l’arma per la vittoria si chiama vaccino”.
Si capisce quindi che l’antidoto per il covid-19 sia diventato per le industrie farmaceutiche il grande affare del momento e, come ogni attività commerciale che si rispetti, anche questo particolare business è soggetto alle regole spietate del mercato (domanda e offerta) che determinano il prezzo del bene.
Non sono certamente un esperto di economia, tuttavia è facile intuire che in un mercato organizzato unicamente sul profitto prevalga sempre il più ricco.
Succede dunque che il 14% della popolazione mondiale possegga il 53% dei vaccini (Fanpage) e che nel mondo 45 società farmaceutiche quotate in borsa e in corsa per il vaccino in un anno siano salite in media del 262% (MF).
Insomma, in una situazione d’emergenza sanitaria mondiale come quella che purtroppo stiamo vivendo, bisognerebbe creare un’unica rete di ricerca e collaborazione tra Stati e imprese private per la produzione di uno o, magari, più vaccini anti-covid.
Almeno in questo particolare periodo storico, si dovrebbe dire “stop a brevetti e proprietà intellettuali” su tali vaccini.
Non è una questione di ecumenismo, umanità o altruismo che dir si voglia, ma semplicemente di intelligenza. Perché debellare velocemente questa Pandemia significa far ripartire l’economia globale e la vita sociale.
Utopia? Boh, forse. Ad ogni modo, dopo questa riflessione, datemi i premi Nobel per la pace, l’economia e la medicina.
In attesa di poter tornare a fare qualche presentazione dal vivo in librerie, festival, auditorium e taverne varie, ecco alcune novità circa la mia attività di autore di libri.
La prima. L’8 gennaio scorso sono stato ospite di John Vignola a Radio1 Music Club per parlare di Musica per cani. Canzoni per il migliore amico dell’uomo. Qui il mio veloce intervento telefonico.
La seconda. L’11 gennaio il sito Sky Arte ha dedicato un articolo a Musica per cani.
La terza. Dalla prima settimana di gennaio è disponibile, solo su Amazon, la ristampa di Voci chiassose (1996).
Insomma, per il 2021 fatemi un regalo (in realtà, due): acquistate uno dei miei 4 libri (qui: https://bit.ly/libridiluca) e iscrivetevi gratuitamente a MUSICLETTER.IT (www.musicletter.it), il blog che ho fondato e che dirigo dal 2005.
Voci chiassose è una piccola raccolta di pensieri che ho scritto tra il 1986 e il 1995.
Il libricino venne stampato autonomamente nella primavera del 1996.
A distanza di 25 anni da quella prima pubblicazione arriva questa seconda edizione che, pur avendo una nuova veste grafica e un’introduzione aggiuntiva, mantiene lo stesso titolo e contenuto dell’originale.
Non so se possa essere di vostro interesse, tuttavia, dopo i miei dieci album dell’anno, mi sono divertito a stilare una lista dei miei brani preferiti del 2020.
Ce n’è per tutti i gusti: dal folk al pop, dall’elettronica all’indie rock, passando per l’hip hop e la world music.
Assieme a brani di Bob Dylan, Bruce Springsteen, Jeff Tweedy e Thurston Moore, troverete canzoni di Lomelda, Billy Nomates, Baxter Dury, Laura Marling, Onipa,Fontaines D.C. e molti altri ancora.
È possibile ascoltare la playlist in streaming su Spotify, in alternativa cercate i brani sulle altre piattaforme digitali. Metodo di ascolto consigliato:riproduzione casuale.