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Pillole quotidiane: Io sto bene dei CCCP Fedeli alla Linea

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Oggi è lunedì e l’unica certezza è che anche quest’edizione del Festival di Sanremo è finita. Adesso si torna alla normalità e io, tutto sommato, sto bene. (L.D.)

P.S.
Così, giusto per scrollarsi di dosso quattro giorni di canzoni sanremesi.



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Pillole quotidiane: So Tonight That I Might See dei Mazzy Star

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Certi dischi sono come i fiocchi di neve. Soffici, leggeri e cristallini. E So Tonight That I Might See è uno di questi. Un album da ascoltare al mattino, circondati soltanto da un unico bianco e confortevole candore. (L.D.)



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Pillole quotidiane: On Fire dei Galaxie 500

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Ho sempre amato i Galaxie 500. La loro incoscienza, il loro background musicale, il loro essere involontariamente alternativi attraverso una miscela di melodie eteree e sonorità velvettiane. Qualcosa di unico e infinitamente toccante che, ancora oggi, li rende originali e irripetibili. Ed è forse per questo motivo che il mio sogno slowcore ricorrente è quello di vedere Dean Wareham, Damon Krukowski e Naomi Yang riunirsi e tornare a suonare On Fire solo per me. (L.D.)



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Pillole quotidiane: Benji di Sun Kil Moon

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C’è malinconia e malinconia. Quella di Mark Kozelek non è altro che un racconto intriso di ricordi e poesia. Un viaggio solitario e introspettivo tra le macerie e lo splendore di un passato mai dimenticato. E Benji è il suo capolavoro definitivo. (L.D.)



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Pillole quotidiane: Marquee Moon dei Television

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Ho scoperto Marquee Moon dei Television all’età di sedici anni. E da allora non ho più smesso di ascoltarlo. Un capolavoro assoluto della storia del rock o, meglio ancora, di tutta la popular music. Un disco che graffia, che accarezza e che non smette mai di sorprendermi. Un classico della mia adolescenza che porterò sempre con me.



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Pillole quotidiane: Out of Time dei R.E.M.

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I R.E.M. sono stati un punto di riferimento della mia adolescenza oltre che della mia educazione musicale e culturale.

Li ho sempre amati, anche quando mi sono sentito stupidamente tradito per via della loro improvvisa popolarità.

Erano infatti gli anni di Out of Time e il successo di quel disco, nonostante la sua indiscussa bellezza, mi provocò uno sciocco quanto infantile risentimento. Oramai Berry, Buck, Mills e Stipe non erano più una “cosa privata”.

E fu così che decisi di ignorarli per qualche anno, per poi rimanerne nuovamente folgorato grazie a meraviglie come Automatic for The People, New Adventures in Hi-Fi e persino Up, il primo album senza il batterista Bill Berry.

Da allora non li ho più persi di vista e il loro scioglimento nel 2011 fu per me un vero e proprio colpo al cuore. Uno di quei colpi che ancora oggi accuso quando mi capita di ascoltare uno dei tanti capolavori della band di Athens, soprattutto ora che l’adolescenza è soltanto un lontano ricordo.

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Pillole quotidiane: 10 dischi italiani e 10 dischi non italiani del 2014.

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Stilare una classifica dei dischi più belli dell’anno è sempre stato un compito piacevole ma allo stesso tempo difficile. Quasi un conflitto interiore insomma: da un lato il piacere della scelta mentre dall’altro il dispiacere dell’esclusione. E così succede ogni santo anno quando – tolti quei tre quattro dischi a cui si è più legati – ci si ritrova sempre a dover decidere se inserire nella lista questo o quell’altro album. E il motivo, amici miei, è sempre lo stesso: di dischi belli ne escono ancora tanti. Anzi, tantissimi. Basta cercarli o farsi cercare. Pertanto anche quest’anno ho buttato giù un elenco dei miei album preferiti, dividendolo però tra “italiani” e “non italiani”. Due “top ten” che mi auguro possano esservi di supporto e di stimolo, pur consapevole che non esiste classifica al mondo in grado di reggere il confronto con l’amore che ciascuno di noi nutre verso certi dischi. Dischi che, talvolta, passano inosservati o addirittura vengono bistrattati dalla critica musicale, per poi essere considerati e apprezzati qualche anno più tardi. (L.D.)

I dieci dischi non italiani del 2014 di Luca D’Ambrosio
(In ordine alfabetico)

Ariel Pink – “Pom Pom” (4AD, 2014)
Beck – “Morning Phase” (Capitol, 2014)
Lee Fields & The Expressions – “Emma Jean” (Truth & Soul, 2014)
Mac DeMarco – “Salad Days” (Captured Tracks, 2014)
Parquet Courts – “Sunbathing Animal” (Rough Trade, 2014)
Real Estate – “Atlas” (Domino, 2014)
Sharon Van Etten – “Are We There” (Jagjaguwar, 2014)
Sun Kil Moon – “Benji” (Caldo Verde Records, 2014)
Vashti Bunyan – “Heartleap” (Fat Cat Records, 2014)
The War on Drugs – “Lost in the Dream” (Secretly Canadian, 2014)

* * * * * * *

I dieci dischi italiani del 2014 di Luca D’Ambrosio
(In ordine alfabetico)

3 Fingers Guitar – “Rinuncia all’eredità” (Snowdonia, 2014)
Be Forest – “Earthbeat” (We Were Never Being Boring, 2014)
Betti Barsantini -”S.T.” (Malintenti Dischi, 2014)
Casa del Mirto – “Still” (Ghost Records, 2014)
Edda – “Stavolta come mi ammazzerai?” (Niegazowana Records, 2014)
Giuliano Dottori – “L’arte della guerra. vol.1” (Musica Distesa, 2014)
Johann Sebastian Punk – “More Lovely More Temperate” (SRI, 2014)
Nada – “Occupo poco spazio” (Santeria, 2014)
Nicolò Carnesi – “Ho una galassia nell’armadio” (Malintenti Dischi, 2014)
Omosumo – “Surfin’ Gaza” (Malintenti Dischi, 2014)

* * * * * * *

I dieci dischi non italiani del 2014 di Luca D’Ambrosio

(In ordine alfabetico)
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Ariel PinkPom Pom (4AD, 2014)
“Pom Pom” è il nuovo album di Ariel Marcus Rosenberg, eclettico musicista di Los Angeles (California) che ha scelto il colore rosa come stile di vita e come pseudonimo da affiancare al suo vero nome. Un concentrato di musica pop dai tratti tanto psichedelici e sognanti quanto disturbati e sperimentali. Un disco leggero e coinvolgente che difficilmente vi annoierà. Un vero e proprio trip. Ascoltare per credere.

BeckMorning Phase (Capitol, 2014)
Tutti oramai conosciamo l’eclettismo e il talento di Beck capaci di disorientare e ammaliare qualsiasi estimatore di popular music. Da “Golden Feelings” a capolavori come “Odelay” e “Mutations”, l’artista americano ha sempre saputo rimettersi in gioco senza mai nascondere i suoi sentimenti, come in questa nuova fatica intitolata “Morning Phase” che richiama alle mente le melodie e le atmosfere mozzafiato di “Sea Change”.

Lee Fields & The ExpressionsEmma Jean (Truth & Soul, 2014)
Lee Fields, classe 1951, è un musicista e cantante soul americano che per via della sua somiglianza fisica e vocale con James Brown è soprannominato “Little JB”. “Emma Jean” è un disco di soul music delizioso che non ha bisogno di presentazioni. Basta premere il tasto “play” e lasciarsi trasportare da questi undici classici.

Mac DeMarcoSalad Days (Captured Tracks, 2014)
Piaccia o non piaccia Mac DeMarco è un cantautore di talento. “Salad Days” è il suo secondo lavoro che conferma la sua originalità compositiva, grazie a una manciata di canzoni pop che si ascoltano tutte di un fiato e che sanno essere fresche, leggere e allo stesso tempo sghembe.

Parquet CourtsSunbathing Animal (Rough Trade, 2014)
Questo nuovo disco dei newyorkesi Parquet Courts è un’esplosione di rock che scivola via che è un piacere. Dentro “Sunbathing Animal” c’è un po’ tutto quel che abbiamo ascoltato in passato e che ci piace ascoltare ancora oggi: dai Velvet Underground ai Television, passando per i Feelies, i Sonic Youth, i Pavement… Un disco dall’attitudine garage rock che – come quelli realizzati dagli Strokes e i Clap Your Hands Say Yeah – potremmo collocare nel cosiddetto filone post-punk revival. Insomma, un’operazione déjà vu, fatta però con stile e autenticità, che rende i Parquet Courts una delle migliori realtà della scena indipendente e alternativa internazionale. E sotto certi aspetti persino “alla moda”.

Real EstateAtlas (Domino, 2014)
Terzo disco per gli americani Real Estate. Forse il loro capolavoro, o forse no. A ogni modo “Atlas” è uno di quei dischi che ci piace ascoltare più di ogni altro, sempre che non ne facciano uno nuovo.

Sharon Van EttenAre We There (Jagjaguwar, 2014)
Sharon Van Etten è una della cantautrici più alternative dell’attuale scena folk e rock americana. “Are We There” è la sua quarta fatica discografica. Una piccola meraviglia che mette a nudo la sua anima. Probabilmente il disco della maturità.

Sun Kil MoonBenji (Caldo Verde Records, 2014)
Dietro la sigla Sun Kil Moon si cela Mark Kozelek conosciuto da molti per essere stato il fondatore dei Red House Painters. Con quest’ultima fatica intitolata “Benji”, il cantautore statunitense mette a segno uno dei dischi più belli della sua carriera. Tra folk rock e intimismo.

Vashti BunyanHeartleap (Fat Cat Records, 2014)
Sublime è l’aggettivo più appropriato per definire questo terzo album di Vashti Bunyan. Un sussulto al cuore che ridona speranza a tutti quelli che non hanno mai smesso di amare la cantautrice inglese. Dopo il lontano e dimenticato esordio intitolato “Just Another Diamond Day” (1970) e in seguito al suo ritorno sulla scena folk con “Lookaftering” (2005), “Heartleap” è il disco che conferma e sottolinea, una volta per tutte e al pari di Nick Drake, lo stile unico e inconfondibile di Vashti Bunyan.

The War on DrugsLost in the Dream (Secretly Canadian, 2014)
A volte è bello perdersi nei sogni, soprattutto quando ci si accorge che non sono così distanti dalla realtà, che puoi alzarti ogni mattina, poggiare “Lost in the Dream” sul piatto e continuare a fantasticare insieme ai tuoi beniamini, ovvero i War On Drugs.

I dieci dischi italiani del 2014 di Luca D’Ambrosio

(In ordine alfabetico)
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3 Fingers GuitarRinuncia all’eredità (Snowdonia, 2014)
Devo ammettere che fino a qualche mese fa non conoscevo il progetto 3 Fingers Guitar di Simone Perna, che mi è capitato di scoprire e apprezzare mentre mi apprestavo a redigere la mia lunga lista personale delle Targhe Tenco 2014. Be’, cosa dirvi, “Rinuncia all’eredità” è un disco che mi ha colpito fin dal primo ascolto per l’energia che riesce a trasmettere. Un lavoro che mescola abilmente cantautorato italiano, musica rock e teatro canzone. Immaginate di mettere insieme Massimo Volume, One Dimensional Man e Giorgio Gaber. Fatto? Ecco, il risultato è più o meno quello.

Be Forest Earthbeat (We Were Never Being Boring, 2014)
I pesaresi Be Forest sono senza alcun dubbio una delle formazioni italiane dall’attitudine e dal suono più internazionali. Nonostante la loro giovane età hanno classe ed esperienza da vendere. “Earthbeat” è il loro secondo album che, a distanza di tre anni da “Cold”, segna un lieve cambio di rotta ma anche il primo passo verso la maturità artistica.

Betti BarsantiniS.T. (Malintenti Dischi, 2014)
Marco Parente e Alessandro Fiori sono due musicisti di talento. E questo Betti Barsantini è il frutto della loro collaborazione artistica. Un disco d’esordio da incorniciare. Canzoni d’autore come pochi altri in Italia riescono a fare.

Casa del MirtoStill (Ghost Records, 2014)
“Still” è la nuova fatica discografica dei Casa del mirto, un progetto di musica elettronica in chiave chillwave nato da un’idea di Marco Ricci che incontra Luigi Segnana e Raffaele Ricci. Un disco dal respiro internazionale che ascoltiamo volentieri per via delle sue atmosfere sognanti, leggere e ricercate. Quando la musica pop contemporanea riesce a intraprendere nuove strade anche in Italia.

EddaStavolta come mi ammazzerai? (Niegazowana Records, 2014)
Stefano Rampoldi, in arte Edda, è un personaggio “maledetto” ed eccelso allo stesso tempo. Un cantautore che fa dell’arte e della musica un tutt’uno con la propria vita. Edda non ha paura, dice sempre quello che pensa, ma soprattutto scrive e canta ciò che gli altri difficilmente canterebbero. Un uomo e un artista che con le sue virtù e le sue debolezze mette in luce tutte le contraddizioni e le paranoie di questa umanità. E ci riesce anche questa volta con un disco dannatamente bello intitolato “Stavolta come mi ammazzerai?”.

Giuliano DottoriL’arte della guerra. vol.1 (Musica Distesa, 2014)
Giuliano Dottori è un cantautore italiano nato a Montréal, Canada, e sicuramente molti di voi lo ricordano per il fatto di essere il chitarrista degli Amour Fou. Dopo “Lucida” del 2007 e “Temporali e Rivoluzioni” del 2009, “L’arte della guerra – Vol. 1” è la sua nuova fatica discografica. Un disco emozionante che, oltre a confermare la sua bravura, racchiude otto canzoni pop dalla bellezza cristallina.

Johann Sebastian PunkMore Lovely More Temperate (SRI Productions, 2014)
Non sappiamo, e tantomeno ci interessa sapere, se il progetto Johann Sebastian Punk di Massimiliano Raffa sia la “next big thing” italiana. Ciò che ci interessa dire invece è che “More Lovely More Temperate” è un album di debutto che ci ha davvero sorpresi per il suo eclettismo estetico e musicale. Un disco con una buona dose di fervore artistico che, oltremodo, suona bene e in maniera diversa da tantissime altre proposte “made in Italy”. Truffa o non truffa, questo disco ci piace così com’è.

NadaOccupo poco spazio (Santeria, 2014)
Nada Malanima è una cantatrice vera e a cui va perdonato tutto. Un’istituzione femminile della musica leggera e d’autore italiana. E questa questa sua ultima creatura dal titolo “Occupo poco spazio” è un disco da non farsi sfuggire.

Nicolò CarnesiHo Una Galassia Nell’armadio (Malintenti Dischi, 2014)
Se si deve parlare di “musica leggera italiana” o di “nuovo cantautorato italiano”, non possiamo fare a meno di segnalarvi “Ho una galassia nell’armadio”, il secondo album del giovane cantautore palermitano Nicolò Carnesi.

OmosumoSurfin’ Gaza (Malintenti Dischi, 2014)
Gli Omosumo sono un trio siciliano di musica elettronica composto da Angelo Sicurella, Roberto Cammarata e Antonio Di Martino. “Surfin’ Gaza” è il loro album di debutto che mescola dance music, synth pop e afrobeat. Un disco che vi farà smuovere le chiappe e che senza alcun dubbio vi lascerà a bocca aperta.



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Pillole quotidiane: Always for You degli Album Leaf

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Le foglie sono un tappeto. Un tappeto morbido e colorato su cui far scivolare i propri ricordi e le proprie fantasie, in un eterno aggrovigliarsi di sentieri e di misteri che solo il cuore può custodire. (L.D.)



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Pillole quotidiane: Rock the Casbah dei Clash

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Ricordo bene quando morì Joe Strummer. Mancava qualche giorno a Natale e io e il mio amico Mezzone eravamo a casa che stavamo ascoltando “Rock the Casbah”. La notizia ci lasciò senza parole. Allora uscimmo di casa in silenzio e camminammo per ore al freddo, sotto un cielo greve. Le gambe erano pesanti e i nostri cuori battevano così forte che sembravano uscirci dal petto. Ci mancava il fiato, ma soprattutto ci mancava lui: “Joe lo strimpellone”. (L.D.)



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Ballyturk, musica di confine. Intervista a Teho Teardo.

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Lo scorso 21 ottobre è uscito Ballyturk, il nuovo lavoro discografico di Teho Teardo nato dalla collaborazione con il drammaturgo Enda Walsh e con la partecipazione speciale degli attori Cillian Murphy e Mikel Murfi e dei musicisti Joe Lally (Fugazi) e Lori Goldston (violoncellista dei Nirvana). Otto composizioni di “confine” concepite inizialmente per l’omonima opera teatrale di Walsh e successivamente rielaborate e registrate da Teardo in maniera davvero impeccabile. E noi, che da queste parti abbiamo sempre avuto un debole per i suoi lavori, non potevamo che approfittarne per rivolgergli qualche domanda a proposito di questo nuovo album. Ciò che segue è il risultato di un breve e veloce scambio epistolare con il musicista e compositore italiano. Non ci resta quindi che augurarvi buona lettura.

Intervista a Teho Teardo di Luca D’Ambrosio
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Allora Teho, quando hai incontrato Enda Walsh?
Ci siamo incontrati a Londra, un anno fa, subito dopo aver ricevuto una sua mail inviata al mio sito.

Dal punto di vista artistico, cosa ti ha spinto prima a collaborare per la sua opera teatrale e poi a realizzare questo disco? Qual è stata la scintilla?
Sono una scintilla, prima di spegnermi faccio tutta la luce che posso. Inoltre non è affatto detto che mi spenga, ma nel frattempo faccio qualsiasi cosa con tutta la dedizione e cura come se dovesse esser l’ultima cosa che faccio. Suonare è seriamente una questione di vita o di morte. C’è qualcosa di assoluto nel suono.

Eccezion fatta per i tuoi recenti lavori al fianco di Blixa Bargeld, con Ballyturk si ha la sensazione definitiva che tu vada sempre un po’ più in là della solita formula che ti vuole autore e compositore di colonne sonore. Se questa impressione si era già avvertita fin dalle tue prime composizioni, ora a mio avviso è abbastanza evidente. Insomma, voglio dire: ogni volta i tuoi dischi sembrano avere una vita propria, a se stante, anche se sono legati a un film, un documentario, una pièce…
Spero che i dischi sopravvivano al motivo che li ha generati. Anche che sopravvivano a me. Quando vengono ascoltati, per quei pochi che ancora ascoltano degli album interi, io non sono lì e quindi è importante che il disco racconti esattamente quello di cui consiste, in mia assenza. Le formule servono alla stampa per far meno fatica e consegnare più recensioni in un mese mettendo i dischi nelle caselle come se fossero gli esami del sangue.

C’è un particolare processo (mentale e concreto) che ti piace seguire ogni qual volta ti appresti a realizzare le musiche per qualcuno o con qualcuno?
Non ho una formula, in realtà detesto le formule. A meno che tu non sia i Ramones, le formule non hanno senso. Sognare è determinante, serve per trascendere la realtà ed elaborarla. Agli artisti si chiede questa elaborazione, non significa ritirarsi nel proprio nido, ma rimettere a fuoco quanto abbiamo sotto gli occhi e che spesso non vediamo.

Ascoltando le tue composizioni si ha quasi l’impressione che sia il dettaglio sonoro a farla da padrone. Un dettaglio talvolta ossessivo e reiterante su cui si sviluppa l’intera struttura del brano. Come se cercassi di scavare nell’anima dell’ascoltatore…
Non penso agli ascoltatori quando scrivo, penso a un modo per prendere un elemento e trasformarlo in qualcos’altro, attraverso uno spostamento. La musica sposta qualsiasi cosa.

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Torniamo a Ballyturk. Nel disco appaiono gli attori Cillian Murphy e Mikel Murfi, i musicisti Joe Lally dei Fugazi, Lori Goldston (già violoncellista dei Nirvana) e altri ancora. Come nascono queste collaborazioni?
Tutti hanno un senso, anche se apparentemente non si nota, anzi, meglio se non è chiaro. A parte la questione di evidenza nel caso di Cillian e Mikel, protagonisti di Ballyturk, ma vogliamo parlare dei meravigliosi pomeriggi che trascorro suonando in studio con Joe? Oppure disteso su un divano a scoprire che avevo imparato a memoria l’album di Lori? Tutto converge, anche arbitrariamente in quel che seguo nel momento di realizzazione di un disco.

Quanto tempo ci hai lavorato sopra?
Decenni. Almeno trent’anni. Come le rughe, te le devi coltivare. Per fare ogni disco mi serve riferirmi almeno agli ultimi trent’anni, guardando avanti, necessariamente.

Bellissima la copertina. Ci farei un poster da appendere in camera.
È una foto realizzata da un bravissimo fotografo, Richard Gilligan, inoltre quello scatto con Cillian e Mikel mi trascina immediatamente dentro Ballyturk.

Possiamo definire Ballyturk un disco di confine?
Abitavo in una regione di confine il Friuli, parecchi anni fa. Il confine mi è sempre parso potesse essere un vantaggio, un corridoio che consente il passaggio da una parte all’altra. È quello che cerco di fare con la musica.

Una delle tue grandi capacità è quella di essere un personaggio trasversale, in grado di unire un certo intellettualismo musicale con la parte più energica, oscura e fisica del rock.
Non sono un personaggio, sono una persona. La stampa gode nel creare e seguire i personaggi. I personaggi non fanno musica, di solito sono il risultato di un ruolo interpretato e nella mia vita i ruoli vengono relegati al lavoro degli attori nei film. Nel resto bisogna metterci la faccia, la propria, non quella degli altri.

Cosa stai preparando di nuovo?
Sto lavorando alle musiche per tre film di Man Ray. L’uomo raggio è uno dei miei miti di sempre. Le eseguirò dal vivo il 6 e 7 dicembre a Villa Manin (Passariano di Codroipo, in provincia di Udine) dove c’è una grande retrospettiva sul suo lavoro. Tra poco riprenderò a lavorare a un nuovo album con Blixa. Ho già molte cose in mente per il prossimo disco.

E invece cosa stai ascoltando ultimamente?
Ascolto dischi nuovi e vecchi. Vado avanti e indietro nel tempo.

Al solito, grazie per la disponibilità.
Grazie a te Luca, un abbraccio e spero a presto.

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