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Intervista a Luciano Ligabue (1992)

Mentre rovistavo tra le mie vecchie audiocassette, è saltata fuori questa intervista a Luciano Ligabue registrata poco prima del concerto al Centro Fiere di Alatri (Frosinone, 6 marzo 1992), all’indomani del suo secondo album “Lambrusco, Coltelli, Rose & Popcorn”.

Ricordi di rock’n’roll © di Luca D’Ambrosio

Intervista a Ligabue del 6 marzo 1992
Intervista a Ligabue del 6 marzo 1992

Prima che realizzassi il tuo primo disco, due delle tue canzoni, Sogni di Rock’n’roll e Figlio di un Cane, furono incise da Pierangelo Bertoli. Come lo hai incontrato e cosa ha significato per te questo incontro?
Pierangelo Bertoli (1942-2002, ndr) abita a 30 Km da casa mia per cui era quello più a portata di mano, nel senso di vicinanza per cui io, che da anni scrivevo canzoni, ho provato a vedere che tipo di reazioni poteva avere una persona che stimavo e che comunque faceva questo mestiere da tanti anni. Lui è stato molto disponibile, è una persona disponibile in generale. Ha ascoltato alcune cose e ha trovato che c’erano due canzoni che gli interessavano al punto di volerle cantare e così è stato. L’incontro è partito da lì, c’è un’amicizia che rimane, tuttora, che è resa più difficoltosa, rispetto al passato, per il motivo che entrambi oramai siamo impegnati. Ora è molto difficile che riusciamo a incontrarci, però questo non toglie nulla alla nostra amicizia.

Dal rapporto con Pierangelo Bertoli è nata la collaborazione con il suo produttore, Angelo Carrara, che decise di lavorare al progetto del tuo primo disco. Che situazione si venne a creare visto che Carrara veniva da esperienze molto diverse da quelle che tu proponevi?
Carrara è una persona che ha del fiuto e dell’istinto per cui è vero, le cose che facevo io erano talmente diverse che il suo fiuto gli ha fatto capire che la cosa migliore che poteva fare era quella di una produzione esterna cioè di fare in modo che alla fine l’album lo producessi io perché lui sapeva che mettendoci le mani sopra, forse, il disco ne avrebbe risentito e così è stato. Devo dire che fortunatamente il primo disco è andato bene, per cui il metodo non si è discusso ed è stato così anche per il secondo disco.

Se non vado errato nel 1988 mettevi su una formazione che si chiamava Orazero. Cosa ha rappresentato quella band per Luciano Ligabue?
Per essere precisi la band l’abbiamo formata nel 1987. È stata anche la mia prima apparizione in pubblico. Cosa ha rappresentato la band? Ha rappresentato un momento decisivo per me cioè il fatto di vedere che queste canzoni venivano apprezzate dalla gente. Capitava già da sconosciuti, presi un po’ per sfigatelli, perché quando uno non ha successo è sempre preso un po’ così, che la gente aveva interesse per queste canzoni. C’erano già registrazioni pirata dei nostri concerti, che poi la gente si scambiava roba di questo tipo. È un’esperienza che ricordo con affetto, perché comunque sono stati tempi non facili ma carichi di entusiasmo.

Senti, Luciano, la mia non vuole essere una provocazione, ma perché un rocker come Ligabue canta in italiano e non in inglese?
Perché vivo in Italia, scusami, la risposta è molto semplice. Dimmi tu che senso ha che uno canti in inglese volendosi esprimere nei confronti di gente che vive nel suo paese, questa domanda, secondo me, andrebbe fatta nei confronti di chi canta in inglese in Italia. Perché uno deve cantare in inglese nel mercato italiano?

Come sono i rapporti con i Rocking Chairs, visto che al tuo secondo disco ha collaborato il fisarmonicista Franco Borghi?
Io non li conosco tanto, conosco il loro lavoro. Ho conosciuto in un paio di occasioni il loro leader, Graziano Romani, come sempre motivato, con cui ho fatto due chiacchiere. Loro hanno avuto belle esperienze anche a livello di collaborazioni in America, si sono tolti diversi sfizi tra cui quella di fare una bella Stand By Me assieme a Willy De Ville quest’estate, ti lascio immaginare cosa vuol dire. L’incontro con Franco Borghi è stato del tutto occasionale. Non volevo affidarmi a musicisti professionisti perché mi piaceva l’idea di dare l’ennesima opportunità a gente che non è nel giro di Milano (professionalmente parlando) ma che cerca di farcela, e così lui ci ha dato la sua disponibilità.

Obiettivamente, che differenza intercorre tra il Ligabue del primo LP e quello del secondo?
Credo che ci sia una differenza a due livelli. Il primo a livello produttivo. Nel senso che nel primo disco ho usato pochi suoni, era abbastanza povero come produzione, anche se suonava. Invece, questa volta, con il fatto che avevo più esperienza, ho potuto gestire meglio la produzione. Ho potuto inserire degli umori musicali diversi, tipo violini, fisarmoniche, un coro alpino, armoniche a bocca che nel primo album non c’erano. Ho potuto lavorare sui suoni di chitarra in maniera diversa; ho potuto impostare anche la batteria in maniera diversa, quindi dal punto di vista della realizzazione mi sembra più ricco. Dal punto di vista dei contenuti, che è il secondo livello di cui parlavamo prima, quest’ultimo disco è più complesso. Nel senso che è un album meno accessibile, bisogna ascoltarlo più del primo.

Hai ancora qualche canzone nel cassetto?
Beh, sì.

I tuoi impegni futuri?
Fino al 31 marzo (1992, ndr) andiamo avanti con la tournée. In aprile mi occuperò della produzione di un gruppo italiano di rock che non ha ancora avuto la fortuna che si merita, sono i Rats. Con la produzione gli darò anche un pezzo mio.

L’ultimo disco che ti è piaciuto?
Beh, sto ascoltando Little Village che non mi dispiace, quello con Ry Cooder, John Hiatt e Nick Lowe, non è eccezionale ma lo sto ascoltando volentieri.

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